La pandemia ci ha costretto a ridimensionarci nella nostra frenetica quotidianità e ci ha permesso di guardarci dentro nelle nostre dimensioni emotive più profonde. Questi nuovi fenomeni, la restrizione delle nostre libertà individuali, la precarietà economica e sociale e un nuovo sguardo alla nostra interiorità, ha prodotto nuove forme di malessere che necessitano di attente riflessioni. 

Il periodo dell’Emergenza si caratterizza per la sua unicità nelle nostre vite e rappresenta un tornado traumatico di portata eccezionale, soprattutto per coloro che hanno vissuto direttamente la malattia da Covid, per i loro familiari, per le persone che hanno sperimentato la perdita di un congiunto a causa del Coronavirus e per gli operatori sanitari a diretto contatto con la morte e la disperazione. Per loro, gli effetti traumatici di una quotidianità di morte e malattia si possono manifestare in sintomi psicopatologici, con crollo della stabilità della propria sicurezza interna, nel medio e lungo termine, definibili nel post traumatico.

Per la restante parte della popolazione che ha vissuto indirettamente la pandemia possiamo rilevare da un lato effetti psicologici fisiologici, quali insonnia o depressione ansiosa: malesseri che si possono definire come effetti normali di un grande dolore emotivo scatenato dalla pandemia e che non vanno trattati come quadri psicopatologici, perché non lo sono,  ma ascoltati, dotati di senso e restituiti ponendo l’accento sulle risorse interne delle persone. Dall’altro lato invece è accaduto che quadri psicopatologici sommersi si sono slatentizzati durante la pandemia, ovvero il lockdown ha funzionato da attivatore di malesseri coperti, soprattutto nelle persone che non riescono, nell’isolamento delle proprie mura domestiche, ad accedere alla propria interiorità. Nuove forme di malessere sono inquadrabili quindi in fenomeni ansioso-depressivi, in manifestazioni psicosomatiche, in disfunzioni sessuali in strutturazioni di personalità che funzionavano discretamente bene prima della pandemia. Ad esempio, persone che hanno bisogno del nutrimento narcisistico della socialità per esistere, si trovano impoveriti e svuotati in una quotidianità priva di riflettori sociali, facendo emergere vuoti antichi di stampo depressivo.

Nei bambini, negli adolescenti e nei giovani, invece, la socialità riveste un ruolo essenziale nella strutturazione della personalità, quindi potremmo dire che è la quota di popolazione che ha sofferto di più su un piano fisiologico, non psicopatologico, perché sono venuti a mancare i contesti affettivi di sviluppo (scuola, università, gruppo dei pari, uscite, attività sportive) per una sana crescita evolutiva dove poter esprimere la propria vitalità.

Ancora diverso è il discorso riguardante un’ulteriore fetta di popolazione che manifestava già prima della pandemia fenomeni psicopatologici: abbiamo potuto constatare che in presenza di sintomi gravi la pandemia ha funzionato come contenitore reale dell’angoscia portando a nuove forme mentali più accettabili dalla persona stessa. Spostando il focus dalla propria angoscia interna a una angoscia più reale, si assiste a una sofferenza più blanda e a timide aperture verso l’esterno, considerato, prima dell’Emergenza, troppo pericoloso perché esponeva la fragilità interna alla performance sociale. Oggi il virus ci ha imposto nuove forme di contatto convenzionali, come il distanziamento sociale, accettato e tollerato da chi soffriva nel contatto sociale. Anche persone con forme ansiose strutturate, che nei rapporti performativi rivelavano aspetti di vulnerabilità e di sofferenza, durante la quarantena, hanno potuto archiviare la normalità della vita quotidiana trovando nello spazio della propria abitazione una zona di confort protettiva e sicura.

In estrema sintesi, quindi, al tempo del Covid stiamo assistendo, per ora, a quattro forme di malessere psicologico: 1. il post-traumatico in persone che hanno vissuto direttamente la pandemia; 2. forme fisiologiche di sofferenza psicologica, tra cui insonnia, ansia e depressione, attivati dalla quarantena; 3. nuove forme depressive in soggetti apparentemente sicuri di sé prima della pandemia, generatrice, in questo caso, di nuclei interni di fragilità; 4. disagi psicologici fisiologici in bambini, adolescenti e giovani causati dalla rottura dei contesti di sviluppo stabili e sicuri.

Infine stiamo assistendo ad una nuova forma di miglioramento in coloro che soffrivano prima del Covid di un disagio mentale: è meglio la pandemia del proprio dolore interno.

E’ probabile che emergano ulteriori quadri di malessere proprio per l’eccezionalità del periodo storico, economico e sociale che tutti noi stiamo vivendo. Queste nuove dimensioni della mente sono oggetto di attente riflessioni da parte della comunità scientifica che si occupa di salute mentale.